Aggiornamento: in fondo al post c’è il link col le slides.
Un bel corto-circuito, quello a cui mi ha chiamato la prof.ssa Elena Rocco dell’Università Ca’ Foscari. Portare lo smarketing (la filiera corta, la piccola scala, il locale, la comunicazione etica…) nel corso di marketing internazionale.
Così lunedì 15 sarò alla Scuola in Economia, Lingue e Imprenditorialità per gli Scambi Internazionali, Campus di Treviso, ospite del corso di marketing internazionale.
Credo che sia importante aiutare questi studenti di marketing a non rischiare di studiare per un mondo che non c’è più e a prerararsi per scenari nuovi; che io vedo più equi, solidali ed etici, spero di non essere smentito dalla storia; comunque certamente tutto cambierà.
Ecco come è presentata la mia conferenza.
Il mondo cambia in fretta, alcuni principi, che oggi sono fondamentali nel marketing, potrebbero diventare inadeguati per un mondo più liquido e frammentato.
Per questo è stato chiamato Marco Geronimi Stoll, fondatore di smarketing°: una rete di professionisti della comunicazione e dell’etica di impresa che sperimenta modi di comunicare “reciproci, leali, verificabili e a basso costo” tra produttori e clienti, in filiere che si accorciano.
Marco Geronimi Stoll, che sul biglietto da visita si autodefinisce pubblicitario disertore, è consulente e comunicatore di molte associazioni, ONG e di “aziende della decrescita”, cioè di quell’imprenditoria post-crisi che “crea valore perché crea valori” basandosi sull’efficienza energetica, l’agricoltura sostenibile, il riciclo delle materie prime, il benessere post-consumistico, l’artigianato di qualità, l’enogastronomia di territorio, le esperienze a costo zero…
È quell’economia che ci rende più ricchi se scende il PIL e che non persegue la crescita del fatturato a tutti i costi, ma lo “slow business”, cioè il principio di “vendere tante mele quante ne fa l’albero” perché l’obbiettivo non è più l’arricchimento ma sono la stabilità e la resilienza agli stress economici.
Ovviamente la comunicazione che serve per questo scopo è diversa da quella tradizionale del marketing: sono diversi i media, le retoriche, i costi, le filosofie… diversi perfino i concetti di bellezza, di chiarezza e di efficacia.
Le tecniche e gli scopi di questa comunicazione, nell’advertising convenzionale, paiono eterodossi.
Ad esempio si rinuncerà ai grandi media di massa e si cercherà una comunicazione
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su piccola scala, perché la comunicazione diventa reciproca e ciascuno può tessere solo alcune centinaia di conversazioni reciproche, al massimo pochissime migliaia, non milioni;
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basata sui “minimi e massimi tecnologici”, cioè su un mix tra internet (in particolare i social media) e gli strumenti più antichi e semplici: il contatto in carne ed ossa, il corpo, la voce, poca carta, le radio e le testate molto specializzate…
Il nuovo ruolo che potrà avere il marketer consegue da questo scenario: oggi contribuisce ad aumentare la filiera e i costi del prodotto, domani potrebbe invece diventare consulente e facilitatore dei piccoli produttori che diventano “dilettanti competenti”.
Un mercato più etico, umano e amico dell’ambiente è nell’orizzonte che delinea Geronimi Stoll, che viene indirizzato agli stakeholder e dove
– chi “fa il furbo” viene facilmente smascherato attraverso internet, perché ogni cliente è un betatester e quindi “oggi le bugie hanno le gambe più corte”;
– dove si diffonde la capacità di riconoscere le qualità del prodotto, e quindi addio al marketing che vende paccottaglia a prezzi bassi.
– dove conseguentemente possiamo anche dare l’addio ai brand con l’immagine studiata a tavolino, addio sprechi inutili di materia ed energia che accelerano le crisi sociali, economiche e soprattutto ecologiche.
Può servire, al marketing internazionale, parlare di una comunicazione localissima, per un mercato a km zero, basata sulle piccole quantità, pensando che tutti siamo nicchie?
No, se pensiamo che il mercato internazionale siano solo le migliaia di navi di container che arrivano ai nostri porti , i centri commerciali faraonici nelle nostre desolate periferie, i milioni di persone indotte dai persuasori televisivi a comprare l’ultima diavoleria che fra sei mesi sarà obsoleta.
Probabilmente sì se invece pensiamo ad alcuni cambiamenti che ci riserva il futuro, alcuni esempi tra mille sono:
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un turismo in cui i vacanzifici di massa perdono clienti a vantaggio di luoghi più veri, a contatto con la natura e con le singolarità culturali di ogni luogo;
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cibi che portano in sé le eccellenze del luogo di origine;
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un “terzo mondo” che in alcune aree si riscatta dal latifondo monoculturale e dal land grabbing attraverso cooperative autogestite che scambiano commercio col primo mondo attraverso principi equo-solidali;
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una gran parte del commercio mondiale che già oggi scambia non beni materiali (che devono essere trasportati), ma files che contengono idee, arte, narrazioni, suoni attraverso la rete;
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un mercato in cui non si muovono le merci ma le persone che detengono gli skills di determinate professioni, arti o servizi
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soprattutto all’integrazione tra tutti questi aspetti che molto spesso sono al contempo materiali e spirituali, locali e globali, cose ed esperienze, merci e beni non vendibili
Già oggi questa “altra economia” mostra di essere più resiliente alla crisi e di creare più posti di lavoro (a parità di capitale investito) dei tradizionali processi industriali.
Inoltre ha minore necessità di ricorrere al credito bancario e raramente ha bisogno di tecnologia “pesante” (con alti costi di materia ed energia).
È molto più amica dell’ambiente: non solo non lo sfrutta ma anche crea valore difendendolo e restaurandolo.
E quando arriverà l’oil peak avrà reso meno drammatica la transizione verso l’economia senza petrolio: e questo, per il commercio internazionale, sarà molto importante.
Bibliografia:
Marco Geronimi Stoll, Smarketing ediz. Altreconomia Milano 2013 euro 12 pagg 196
Ecco le slides: sotto le 5 immagini iniziali (l'”antipasto”) ho riassunto in poche righe i concetti che ho espresso a voce
Ecco un articolo non recente ma che spiega bene la mia posizione
Ecco un caso come mi ha chiesto la prof. Rocco: Andate nei supporti al libro e cercate la serie w009:
troverete vari link su un’operazione di fund raising per EVA, l’ecovillaggio auto-costruito dai terremotati dell’Aquila
Ecco i dati sul declino della marca su cui, nel dibattito, alcuni studenti avevano espresso dubbi: notate la data, questo processo accade dal 2009!
Qualcuno mi ha chiesto di approfondire il caso della coop. di tipo B “Detto Fatto” di Sesto San Giovanni http://www.coopdettofatto.it/. Notate il sito in economia ed autogestito. Alcuni spot sono linkati a quest’articolo in cui racconto anche altri esempi in cui le piccole radio “schierate” possono funzionare meglio di altri media più costosi e potenti. In questo caso è una cooperativa vera dove i 53 lavoratori sono quasi tutti anche soci e “padroni di sé stessi”; il campo è una radio di sinistra in un territorio di tradizione operaia; altre diverse appartenenze (sportive, territoriali, religiose, eccetera) possono avere la stessa valenza, però funziona solo se c’è un’adesione profonda ai valori “sinceri antichi e profondi”: se invece simulate o strumentalizzate, è facile essere smascherati.
Può interessare anche vedere lo stand fieristico in economia, arredato col cartone da imbianchino su cui le scritte sono tagliate col laser (minimi e massimi tecnologici)
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