Sta ricominciando il mantra collettivo: se liberalizziamo c’è più concorrenza, se aumenta la crescita migliora la situazione. Non è che se una cosa la ripetono cento volte, allora diventa vera.
Continuate a leggere il mio parere se vi interessa.
È una storia che dura da trent’anni.
Riassumiamo: quando una cosa è stata costruita coi soldi dei cittadini nel corso di molti decenni, si definisce pubblica (ad esempio un monopolio naturale: gas, autostrade, telefoni, elettricità, ferrovie…).
Ci si lamenta che è corrotta, inefficiente e lottizzata, ma questo non è nella natura di un bene pubblico, succede solo laddove chi governa agisce da parassita per ottenere denaro, clientele e potere. Solo allora diventa un postificio obeso governato da incompetenti. Basterebbe un po’ di trasparenza, ma trent’anni fa non c’era internet ed era più difficile.
Lo Stato controllore può essere peggio dello Stato imprenditore
Gli stessi boiardi ingrassati dallo statalismo, quando il malcostume diventa economicamente insostenibile, fanno lo switch ideologico, si scoprono neoliberisti e cominciano a urlare che bisogna liberalizzare; dopo un po’ di caciara vendono la baracca a qualche cordata di amici. Lo Stato che non è stato capace di gestire in proprio, ovviamente non è capace di controllare il lavoro altrui, e la situazione peggiora. Non ditemi che sto semplificando, visto come è andata in Italia; ed è uno scherzo rispetto a ciò che è successo nella patria dello Stato Padrone, l’URSS.
Gli amici degli amici pagano, se pagano, cifre sottostimate lamentandosi che la rete è obsoleta e che stanno comprando un debito perchè dovranno spendere un casino, insomma che ci fanno un regalo.
Intanto però attraverso qualche banca compiacente contraggono debiti che fanno pagare in bolletta ai consumatori alzando le bollette. Non ci pensano nemmeno a migliorare la rete, al massimo tappano grossolanamente i buchi più gravi urlandolo sui media, licenziano gli operai invece che i quadri e dopo un po’ la situazione peggiora; a questo punto il post-boiardo privatizzato per togliersi dai coglioni pretende una liquidazione multimilionaria, gliela danno invece del calcio in culo che meriterebbe (spesso meriterebbe la galera) e poi ce lo ritroviamo a far danni da qualche altra parte. Intanto il cittadino si trova ad avere pagato due volte un servizio che non c’è più.
Si può rimediare con le Autority, che però lavorano con molta fatica in un Paese lottizzato dai partiti, pieno di 007 fascistoidi infiltrati dovunque e paramafioso.
La questione non è nazionalizzare-privatizzare
Quindi la diatriba statale-privato è fasulla e ideologica, serve per nascondere il vero frame interpretativo: entrambe possono essere pessime ed eccellenti a seconda delle regole. Regole di efficienza e funzionalità, di utilità sociale, non di profitto a breve termine, non di speculazione finanziaria.
L’acqua non è il gas.
Quindi è assurdo usare la stessa parola “liberalizzazione” per, ad esempio, l’acqua e il gas. Per il gas quella che si profila è una liberazione da un’assurdo monopolio clientelare, legata agli intrallazzi di Berlusconi con Gheddafi e Putin. Per l’acqua sarebbe stato il furto di un bene naturale.
Il telefono non è l’elettricità
È assurdo usarla come soluzione per il prezzo sia della telefonia (fissa, mobile, dati) che dell’energia, sappiamo tutti che nel tempo di un quindicennio:
– il costo del bit tende a zero
– il costo del chilowattora fossile tende all’infinito.
Questo prescinde da chi è il padrone della rete e delle regole.
Concorrenza uguale spese pubblicitarie
È infine ingenuo pensare che la concorrenza porti alla riduzione dei prezzi. È valso solo per certe realtà che godevano di monopoli anacronistici (da noi Alitalia o Sip-Telecom).
La concorrenza abbassa i prezzi sulla piccola scala, se in un paesino ci sono due ortolani invece di uno. Ma sul piano nazionale si passa dalla pubblicità. Oggi quando paghi la bolletta del telefono (fisso, cellulare o dati) quello che paghi è solo in piccola parte servizio o innovazione: paghi soprattutto pubblicità generalista sui grandi massmedia.
E indovinate, ancora oggi, chi ci guadagna.
I treni non sono i taxi
Aspettando il treno leggo sul giornale che siamo poveri per colpa dei tassisti. Intanto mi passano sotto il naso treni semivuoti che non si fermano nelle stazioni medie (figuriamoci le piccole) e sono utili solo ai ricchi e a chi viaggia raramente. Quando arriva, il treno è una scatola di sardine. Non mi frega molto che il treno da Milano a Roma sia competitivo coll’aereo: mi succede una volta al mese e siamo un’ottantina; mi frega che per andare da Rovato a Lambrate non debba prendere la macchina e mettermi in fila due ore a respirare lo scappamento di quello davanti: questo problema ce l’abbiamo in centinaia di migliaia tutti i santi giorni.
Mi dicono che la situazione migliorerà con la concorrenza… mi prendete in giro?
Nuove imprese nazionali
Allora, cosa farei se fossi Monti?
Bene liberare il Gas, ma ora: controlli veri. Bene a favorire le energie rinnovabili, l’unico concorrente vero sono il sole e l’efficienza degli edifici; cominciamo con gli edifici pubblici.
Rete fonia e dati gratis su tutto il territorio nazionale, la tecnologia è pronta, basta pagare 10 euro di tasse all’anno in più al proprio comune; poi fra 20 anni, quando il servizio è maturo, privatizzatelo pure.
Più treni e meno strade: treni locali per trasporto viaggiatori. Stazioni di interscambio auto-treno fuori dai centri abitati.
Taxi (è un problema vivo solo per chi va spesso a Roma a “decidere” e si trova per un attimo come i cittadini normali, io lo trovo pedagogico). Se proprio dobbiamo parlare di taxi, allora usiamo un po’ di creatività: mototaxi agili nel traffico, vetture collettive, bike sharing, abbonamenti. Defiscalizzarli per anziani, disabili, neomamme… e anche in provincia dove non se ne trova uno.
Leave a Reply