Sapessi com’è strano.
Mettete lo spillo di un compasso sul Duomo di Milano, fate un cerchio di 100 km: in quel raggio ci abitano 12 dei 60 milioni di italiani (e ci sta dentro qualche svizzero): uno su cinque in un cinquecentesimo del territorio nazionale.
Gravitano qui un euro ogni cinque, un’ora di lavoro ogni cinque, un mattone ogni cinque, un biberon, una sottiletta, un ombrello, un reggipetto, una bottiglia di vino ogni cinque, che magari viene da Avola, ma si stappa, si beve e scalda il sangue qui, nel buco nero.
In astrofisica il buco nero ha una gravità così esagerata che neanche la luce riesce a uscirne. Milano non è così, ma vista da fuori sembra che le idee che sprigiona non ce la facciano ad irraggiare l’esterno e dopo un breve slancio ricaschino indietro, in se stesse: un buco grigio, diciamo…
Milano avrebbe potuto diventare quello che per anni è stata Barcellona o Berlino, una stella sfavillante di idee ed opportunità per tutt’Europa: giovane, divertente, creativa, fertile. Le premesse ci sono, è piena di maker, startupper, gruppi che fanno cultura, moda critica, laboratori, arte digitale…
Ovvio che fare una cosa novecentesca come l’Expo, invece che seminare nuove economie resilienti, abbia drenato risorse, sviato intelligenze ed espropriato territorio. Ma anche prima di quel fallimento annunciato sapevamo che non avremmo dovuto aspettarci niente dalla politica. Come allora anche adesso dobbiamo tirarci su le maniche per inventarci del lavoro e cavarcela da soli.
Da soli ma insieme.
Il 19 e il 27 gennaio ci chiediamo come farlo.
Rete Smarketing lo farà con voi proprio nel luogo più opportuno: a WeMake, che è uno dei centri mondiali della galassia dei maker e degli startupper.
Il 19 alle 18.30 ne parleremo in occasione di una presentazione e chiacchierata sul mio nuovo libro “Domani mi metto in proprio” .
Il 27 ci sarà questo laboratorio intensivo dalle 9.45 alle 18. Per lavorare bene, scusate, possiamo accettare solo un numero limitato di iscritti, per cui chi è interessato si segni subito.
Ma la premessa essenziale (ed evidente) la dico subito. Se vuoi lavorare in questo cerchietto affollato una cosa dev’essere chiara: tutto si gioca su come si scambia lavoro, intelligenza, cibo, con l’esterno. Con gli altri 499 cinquecentesimi di Italia, e con l’Europa che è qui, adesso, e non ce ne rendiamo conto, se non qualche volta per decidere di emigrare in qualche altro provincialismo dove l’euro gira un po’ di più.
Ovvio: se lasciamo il flusso di materia e informazione alle filiere della grande distribuzione, siamo fregati. Se lasciamo le produzioni alle grandi serie moriremo disoccupati su un letto Ikea dal nome impronunciabile.
Non c’è una soluzione magica, ma sicuramente c’è una “parola magica” che viene dall’ecologia, tutti la sapete già: è scambio. Siamo ancora allo scambio classico tra città e campagna, anche se non si sa più cosa siano l’una e l’altra, resta il flusso tra chi fa il cibo e chi lo mangia. E un flusso nuovo tra chi offre idee, spunti, soluzioni, bellezza, e chi ne vuole godere. Il nuovo cibo per la nuova fame.
È possibile inventarsi qualcosa che somiglia ai GAS e che riguarda l’economia solidale delle creazioni, della bellezza, della socializzazione, delle cose di cui abbiamo sempre più bisogno e a cui troviamo sempre meno accesso? È possibile eccome; non è facile eppure è indispensabile.
E allora parleremo della Milano irraggiata, che non è affatto un buco nero, è una stella di tante piccole realtà produttive che ha un piede nel cerchietto e uno fuori, in montagna, in campagna, in provincia, in posti anche molto remoti.
Se vogliamo inventarci un lavoro, e vogliamo inventarcelo bello, ci sono molte opportunità anche in questi tempi grami e possiamo inventarci dei lavori belli e ricchi di senso. Proviamoci!
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