Questo post è una lettera affettuosa ad una persona che in questo momento cerca lavoro: circa 50 anni, con una solida carriera alle spalle.
Non è colpa tua
Gira meno denaro e siamo tutti più ricattabili; ogni richiesta di lavoro riceve decine di risposte, è chiaro che scelgono la persona più docile e disposta a farsi pagare poco. Rispondi pure a tutti gli annunci che vuoi, manda tutti i curricola che puoi, ma sai già che ogni volta sarà un no; e che ti farà male. E quella centesima volta che capiterà un sì, ti daranno una paghetta da adolescente per fare il lavoro di due persone per un tempo precario. Se non offri un lavoro molto specializzato, non è quella la strada.
Questa brutta notizia ha un lato utile: ti mostra che non è colpa tua. Il sistema ti vuol far credere che sei una persona inadeguata, obsoleta, inutile, mentre chi ha davvero la stoffa del vincente invece ce la farà. No, non è vero, tienilo a mente: è un problema sociale, non un difetto personale; ma riuscirai a tenerlo a mente, quando arriverà la prossima bolletta?
Non è un’espiazione.
Ogni no innesca un circuito vizioso che conferma che non vali, che non ce la farai mai, che non uscirai più dalla soglia della povertà. Cercare lavoro diventa un’autopunizione: ti illudi di cercarlo ancora ma dentro di te prima o poi rinunci, e ripeti l’iter lo stesso, ed ogni fallimento dimostra sei tu ad essere fallito. Allora risponderai routinariamente alle offerte per mostrare alle persone care che ti dai da fare, ma ogni no diventerà una punizione per la tua autostima, per il tuo orgoglio.
La sofferenza si perverte in masochismo: il primo sintomo è che le soluzioni “strane” (cioè più creative, insolite, fuori dai canoni) ti danno fastidio. Sei troppo stanco ed uscire dal circuito vizioso costerebbe fatica, mentre quelle soluzioni ti chiamano fuori, a rompere il loop.
Non so se ti può consolare, ma questo disfattismo sta succedendo a milioni di persone; tu lo sai già, per questa china parecchia gente si è ridotta davvero male. No, ti prego: bastano i problemi veri, non aggravarli con una visione psicologica fatalista e passiva. Non è affatto ineluttabile: non devi metterci più sforzo, ma più lucidità. Senza lucidità l’ostinazione non serve.
Vediamo se con qualche suggerimento riesco ad aiutarti.
Mai dire “un lavoro qualsiasi”
Specialmente a un colloquio di lavoro. Specialmente in un annuncio di offerta. È chiaro che in caso di bisogno chiunque fa tutto: tra gli immigrati ci sono ingegneri che fanno i braccianti. Non è una vergogna per loro, ma è un peccato: per loro e per tutti noi.
Pensalo ma non dirlo, quando a un datore di lavoro dici “posso fare qualsiasi cosa” gli dici che non c’è niente che sai fare bene.
Più scendi, più hai concorrenti.
Una mia amica che fino a pochi anni fa aveva la donna di servizio, ora fa la colf in nero. Dice: devo guadagnare, qualsiasi lavoro va bene, e lo dice con ammirevole dignità signorile. Massimo rispetto per i lavori cosiddetti umili, che umili non sono, ma perché tu devi competere con i milioni di persone che, non avendo competenze ed esperienza, devono accettare la logica del “meglio che niente”?
L’equazione è evidente: più scendi (e scusa il verbo “scendere”, che ha un sapore terribilmente classista) più trovi concorrenti. Più scendi, più entri nella guerra tra poveri. Il consiglio è: spara più in alto. Dici che non è facile? Bene, come vedi sparare più in basso non è più facile.
Cerca i vuoti, non i pieni
In questa economia della scarsezza se cerchi delle opportunità ne trovi pochissime, occorre ribaltare la mentalità e cercare là dove ci sono delle lacune. Questa società è piena di esigenze, di bisogni… quindi di mestieri potenziali, ma occorre individuarli. Lo so, farsi gli occhi per vederli non è facile, e quando li hai trovati occorre fatica, sforzo, capacità di ascolto e anche un po’ di fortuna. Vale per chi vuole avviare un’attività in proprio, ma anche per chi cerca un lavoro già confezionato “sotto padrone”. In questo secondo caso occorre che il “padrone” sappia vedere quel nuovo mercato o, come direbbe lui, quel nuovo settore di business. Spesso non è capace, preferisce le abitudini che conosce ed è per questo che molte aziende non si tirano su. Spesso tu offri una soluzione e lui non la vuole ascoltare.
Io ho scelto la strada del mettersi in proprio, c’è il mio libro su questo. Lo hai letto avidamente, ti è piaciuto, ma poi hai detto che non fa per te: ci vuole troppa iniziativa, troppa energia, hai detto “non ho più vent’anni”. Ricorda che oggi non ha più vent’anni neanche un ventenne, siamo tutti in un mondo spossante. Eppure sono in tanti che, non trovando un lavoro, aprono la propria partita iva e ci provano. Si inventano cose nuove; di solito funziona se partono, appunto, dai vuoti. Quindi non aprono, ad esempio, un negozio che sai già che fallirà: lo scopo non è tenersi interi nei mesi in cui lo si progetta, lo scopo è lavorare bene tutta la vita e fare una cosa che ci piace. Uno scopo profondo, a lunga distanza.
Chiediti cosa sai fare davvero
Che non è necessariamente il lavoro che hai fatto fino a ieri. Nessuno sa far tutto. Ciascuno ha predisposizioni, abilità, vocazioni diverse.
Pochissimi sanno che personalità professionale hanno. Eppure saperlo è importante, vale la vita.
Nello sforzo di cercarsi un lavoro, la prima cosa da fare sembra quell’atto di presunto realismo di dire: basta coi grilli per la testa, mi devo sacrificare e la prima cosa da sacrificare sono le mie voglie, la mia vocazione, i miei sogni. Mi devo annichilire, mi devo adattare. Se cerco di esprimermi per quello che valgo riceverò solo bastonate, tanto vale rinunciare.
Ne consegue la sensazione di non saper far niente, di non valere niente.
È così che si perde la partita, perché quella cosa che mortifichi è la cosa più preziosa che puoi offrire. La più utile non solo a te ma anche agli altri.
Senza di essa siamo tutti uguali, tutti omologabili. Quindi siamo tutti fatalmente inutili.
Invece c’è, ma va cercata, riconosciuta, coltivata. È bella, è importante. È speciale.
Più stringi il campo, meglio è
Se ti proponi per un lavoro generico che sanno fare in tanti, anche se c’è più richiesta, farai fatica a trovare un posto; non ti servirà molto essere eclettico o adattabile, ci saranno sempre più offerte che richieste.
Se invece ti proponi con un lavoro particolare, strano, improbabile, ci saranno poche occasioni di trovare un posto, ma l’unica proposta sarà la tua. Qui la questione cambia: non è potenzialmente difficile trovare il posto, ma occorre trovare quelli a cui serve e saperglielo raccontare bene.
Non è facile, ma ne vale la pena. Sembra più difficile, invece è una strada molto meno ingrata.
Lavori di confine tra due competenze
Tra queste le possibilità “strane”, c’è n’è un tipo ancora più speciale. Tutti noi over 40 abbiamo sviluppato, in questo mondo che cambia in fretta, diverse competenze, diversi skill, diverse attitudini.
Prendetene due che conoscete discretamente e guardate in cosa sono contigue; esempi: conosco il tedesco e le erbe officinali; uso bene Facebook e mi piacciono le barche; conosco i vini e so organizzare matrimoni… Nella congiunzione di questi due insiemi, probabilmente c’è nascosto un lavoro che sapete fare bene solo voi.
Quali sono i tuoi due?
Assal
L’articolo ” suggerimenti a chi cerca lavoro”, mi piaciuto molto, non potrei essere piu d’accordo.
Ma noi rifugiati siamo assenti nei vostri suggerimenti. Di solito sono giovani i rifugiati che arrivano e affrontano il mercato di lavoro (a parte me, che non sono così giovane); anche noi vogliamo e dobbiamo fare parte della economia etica e solidale. Ma sembra che noi dobbiamo accettare “un lavoro qualsiasi”
Con le mie amiche stavo lavorando su un progetto, una comunità mista di italiani e stranieri e volevo che fosse un modello più efficace in confronto ai centri di accoglienza, in base alla mia esperienza con associazioni che lavorano con profughi e vivendo due anni in una comunità italiana, Nomadelfia. Ma c’è un certo monopolio anche in questo campo e noi dobbiamo proprio partire da zero.
Noi abbiamo preparato un business plan e abbiamo anche parlato con le persone che pensavamo potessero aiutarci come la Caritas ed altri; ma non abbiamo ricevuto aiuto e le amiche piu giovani sono stufate e si sono tirati fuori del progetto.
Se avete tempo vengo a trovarvi a Milano e vediamo il progetto insieme e la sua possibilità e fattibilità.
O forse potresti aiutarmi a trovare le persone giuste che potrebbero lavorare con noi.
Marco
Cara Assal
due risposte, una pratica e una più emotiva.
Quella pratica è semplice: quello che ci chiedi è esattamente quello che facciamo, basta vedere questa pagina del nostro sito: http://www.smarketing.it/check-up-iniziale/
Per la ricerca di persone con cui collaborare: in territori lontani dal milanese, di solito sono i corsi che raccolgono nuove collaborazioni. Il corso “domani mi metto in proprio” intende proprio mettere in rete chi si presenta come allievo.
La risposta emotiva è meno semplice. Per qualche generazione, noi italiani ci siamo abituati a considerare normale il mondo che c’era davanti al nostro naso. Molti di noi non riescono neanche a immaginare cosa è successo a un profugo. E non riescono neanche a immaginare che se oggi la classe media si sta estinguendo, è colpa delle scelte politiche che hanno votato e dei modelli consumistici che hanno adorato. La disoccupazione li rende fragili, perché occorre reggere uno stress per il quale sono meno preparati. Infatti molti preferiscono dare la colpa a voi che “rubate il lavoro”, cosa che non è vera: ci sono più italiani che emigrano di immigrati che arrivano.
Che fare? nell’articolo pongo la questione sul piano individuale. Nel libro “domani mi metto in proprio” propongo, assieme ad altri, qualcosa di più: mettersi in rete di filiera verso un’economia un po’ più locale. C’entrano l’amicizia, la fiducia, la solidarietà: nessuno si salva da solo.
Buona fortuna, se verrai a trovarci a Milano ci farà piacere.