La definizione recita:
“Festival internazionale itinerante delle buone prassi e dell’ottimismo fattivo.”
Gli amici che lo organizzano mi hanno chiesto di dirlo con altre parole.
Per spiegare perché è così speciale ho dovuto farmi queste altre domande.
1. Cos’è un festival del cinema in questi primi anni di post-televisione?
2. Come può essere itinerante: può esserci un festival senza luogo?
3. Cosa sono le buone prassi in mezzo a questo green washing, in cui sembra che perfino la Shell sia etica e amica dell’ambiente?
4. E questo ottimismo fattivo, che ci fà in mezzo a ‘sta crisi che è anche civile e morale?
Se vi interessa leggete le risposte.
È il festival dei film che ci cambiano
Cannes, Venezia, Locarno… vieni? mancano i soldi e il tempo.
Non manca la curiosità culturale, che comunque sarebbe messa a dura prova dalle passerelle e tutta quella paccottiglia glam.
Però è bello quando si è nella poltroncina, al buio, davanti alla storia (e non si sente più il festival intorno): cominci a sentire davvero i film.
I film più potenti da sentire sono quelli che ti cambiano: esci dalla sala e non sei più quello che era entrato.
Mia nonna diceva “che bel film: ho pianto tanto!”; dopo mezzo secolo (che nella storia degli audiovisivi vale mezzo millennio) siamo ancora lì.
A questo servono le narrazioni: se non ti cambia, non è una storia.
Mancava un festival dedicato esattamente a questo, al cambiamento profondo del senso della vita; lo facciamo insieme.
Lo facciamo bene.
È internazionale, ma arriva dietro casa
Visto che Maometto non va alla montagna, abbiamo reso la montagna itinerante: un festival nomade, capace di venire nei tuoi posti.
È più di una rassegna locale, che (anche quando è bellissima) mostra i film; un festival ha più pretese: incoraggia a generarli.
Rispetto a un festival “stanziale” si perde quel fascino del luogo famoso, ma ne vale la pena: i posti vicini alla tua casa diventano la casa delle storie possibili.
E poi: un paesino qua, uno là… alla fine ogni film somma più pubblico che a Cannes.
Sono tutte storie d’amore
Tre quarti delle pellicole famose parlano d’amore e di sesso, tema su cui dopo 5.000 anni di cultura organizzata siamo ancora in sospeso: ancora lì a decifrare quella grammatica che cambia continuamente.
Abbiamo altri temi in sospeso, anch’essi antichi come l’uomo eppure nuovissimi: la terra che genera, il cibo, il senso di ogni minuto di lavoro, il modo di abitare, l’arte di stare con gli altri: hanno bisogno di nuove grammatiche…
Esprimono non meno eros: ci rendono vitali o depressi, in comunità o soli, forti o ammalati. Meritano storie.
Un canale che non c’era
Ricevono tante storie d’amore: quel paesaggio, quella verdura strana, quel mestiere antico… ma quasi mai vengono raccontate; alle poche narrate fin’ora mancavano i mezzi per farle arrivare a chi vorrebbe sentirle. È un problema di canali. Non è un problema di cultura del ricevente.
O forse un pochino sì.
Per sentire quanto è sexy l’odore di una zolla di terra fertile devi, prima, toglierti di testa gli stereotipi (è sporca, è faticosa, non sorprende, non è pittoresca, non sa di “vincente”…) inculcati dal marketing e dall’alienazione del lavoro.
Un altro problema è che i canali tra questo eros universale e il pubblico “normale” sono presidiati dal nemico: ci tocca anche ripulirli dalla “pornografia” dei cuochi in TV e delle pagine-viaggi sulla natura “incontaminata”.
Mancano le storie vere, ma abbondano quelle idealizzanti (che fingono di avvicinare e invece allontanano, proprio come la pornografia).
Scoperta: le delusioni sono deludenti!
Meglio prevenire.
Puoi immaginare di fuggire nei caraibi con quell’attrice: nessuno te lo vieta; ma poi apri gli occhi e sei in metropolitana che vai in ufficio. Che differenza!
Forse invece stai fantasticando di mandare il tuo capo a quel paese, risolvere il mutuo e tornare a coltivare la cascina del nonno.
È un’altro genere di fantasia: guai se apri gli occhi e ti dici “è impossibile”, hai diritto di sapere se chi l’ha fatto ci è riuscito, se le difficoltà erano insormontabili o no…
È un bivio: o la sua idea (e quindi la tua) è un’illusione rovinosa o è una scelta salvavita.
Saperlo è importante.
L’ottimismo fattivo
Abbiamo un’idea di successo che è il contrario di quella della società dello spettacolo: “successo” è il participio passato di una cosa bella che è veramente accaduta.
Vuol dire è successo davvero: guarda!
E proprio lì, dietro al verbo guardare, c’è l’arte del video.
Quando un contadino, un artigiano, un artista racconta alla videocamera come ha realizzato la sua buona pratica che funziona abbastanza bene, è il contrario di una star, non vuole essere ammirato o invidiato; anzi spesso è un un po’ “orso” e poco mediagenico. Di narcisismo ce n’è poco; spesso troppo poco.
Però quando uno ha cose belle da dire, la comunicazione viene più facile.
Così, paradossalmente, questi personaggi così poco televisivi, quando superano in disagio della telecamera “bucano” lo schermo meglio di tanti che ci provano in modo conformista imitando i cliché.
Caro spettatore, smettila di fare lo spettatore
e dacci una mano
Questi testimoni ti chiedono di essere alleato per fare insieme un mondo migliore; e di farlo adesso, concretamente.
Non vogliono atteggiarsi a star, ma non come la volpe che disprezza l’uva quando è inarrivabile, anzi. Le star sono un prodotto dell’industria culturale; loro, e tutti noi, no: vogliamo essere, insieme, i contadini della coltivazione culturale.
È, alla lettera, un altro film.
Ogni film del Festival non solo racconta una storia diversa.
Ha anche un altro modo di raccontarla; con altri ritmi, altre retoriche, altre parole.
È un’altra mitologia, dove siamo tutti eroi minuscoli. Belli dei nostri difetti, forti dei nostri ostacoli, coraggiosi per le nostre paure.
Siamo perfetti per questo mondo imperfetto.
La nostra attenzione è sempre più breve, impaziente e superficiale
Siamo bombardati di messaggi, quindi siamo più selettivi, poche cose ci piacciono davvero.
Fare un film oggi significa provare a superare questo ostacolo enorme, e farlo esattamente adesso, mentre le sale si decimano e Youtube si centuplica.
Quali film far generare
Non servono più i milioni per fare le produzioni cinematografiche: se uno è bravo ci riesce anche con un telefonino.
Appunto: se uno è bravo. Ma se uno è bravo dice che no, col telefonino è difficile, meglio una buona videocamera, le luci, la fonica eccetera. Che comunque oggi costano un centesimo di quelli analogici di ieri.
E tutti, in casa o in tasca, abbiamo strumenti con una qualità che 20 anni fa sarebbe stata definita “professionale”. Che ci facciamo?
Le nuove tecnologie, economiche e familiari, pretendono nuove capacità tecniche ed espressive più diffuse e popolari.
Come tutti impariamo a scrivere mentre impariamo a leggere, oggi che i mezzi di ripresa e montaggio sono più accessibili ci accorgiamo che in tanti dobbiamo capire le luci, la fotografia, il montaggio, la fonica, il ritmo…
Questo ci può dare tre meravigliose capacità:
– di raccontare bene
– di essere raccontati in modo vero
– di aver voglia di sentire cosa gli altri raccontano.
A Lo Faccio Bene vedrete dei film così
L’importante è che il film susciti voglia di vederlo, è banale ma fondamentale: un film dev’essere un film. Può portarti dentro a sé, in una narrazione rapida e diretta che devi sentire vera e bella.
A Lo Faccio Bene vedrete dei film così: veri e belli.
Il con-corso per i videomaker che vogliono proporre una loro opera (tre premi da 1000 euro ciascuno)
Leave a Reply