Teatro Grande di Udine: la scenografa Belinda De Vito dedica una installazione-percorso ad alcuni miei temi.
Il giorno del mio atelier con Ilaria Tontardini, per accedere alle iniziative, il pubblico deve passare attraverso un piccolo percorso minimalista di teatrini dedicato a me. A me? Una sorpresa! Io adoro questo tipo di installazioni, questi teatrini grandi come scatole da scarpe, così emozionanti eppure così elementari. E così lucidi, così razionali, perché la razionalità, sotto sotto, è un sentimento. Quelle piccole scenografie in uno dei grandi teatri europei. Così vicini alla mia filosofia secondo cui nella nostra epoca di rumore, sono le cose piccole quelle che attirano.
Me la sono lasciata lavorare dentro un mese, questa strana emozione tra l’orgoglio, l’imbarazzo e il riconoscimento; ma la pausa come fermentazione del pensiero era proprio uno dei temi dei lavori di quei giorni, e quindi ecco adesso, dopo quasi un mese, le foto.
Calpestando ( e quindi suonando) piume, sassi, rifiuti di plastica e foglie secche, doveva arrivare a un piccolo sipario per attraversare il quale occorreva mettersi “ad altezza di bambino”. A destra e sinistra del percorso: i pensieri messi in scena.
Ecco le foto: chi conosce un po’ le cose che faccio sa che ho molto lavorato sul rapporto tra visione e i sensi panoramici (ascolto, olfatto, propriocezione, senso termico…) e sui minimi-e-massimi-tecnologici, cioè su come tra le raffinatezze digitali e le materiali manipolazioni del corpo e degli elementi, non occorre una via di mezzo, occorre cercare entrambi gli estremi contemporaneamente.
Il fulmine è una chiara citazione della “parola di tuono”, un lavoro formidabile di Murray Shafer sull’onomatopea con cui avevano creativamente lavorato centinaia di bambini friulani e giuliani. Ma metterlo lì, vicino all’uscita “a statura di bambino” mentre calpesti le foglie di autunno, mi ha chiamato una metafora potente su cosa significhi il tumulto delle emozioni quando diventi adulto.
Grazie Belinda, piccola grande donna.
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