Le tre G che fanno male alle fiere.
Fare le fiere è costoso, per un’azienda; in certi casi sono indispensabili, in altri no. Sopravviverranno a Internet? Credo che il problema sia generale, ma dico la mia solo su quelle in cui posso esprimere giudizi e suggerimenti: quelle che hanno a che fare con ambiente, benessere, buen vivir e responsabilità sociale.
Sono reduce da Zero Emission, fiera romana di pannelli solari, pale eoliche, efficienza idrica, nuove invenzioni energetiche. Grande successo, bei prodotti… lodi, complimenti e niente da dire… ma io, da comunicatore, ho visto troppo spesso le tre G .
Un andazzo su cui vigilare.
Da alcuni anni, progressivamente, lo trovo nelle fiere più schiette e informali in una deriva pseudo-professionale, che si esprime con cattivo gusto, luoghi comuni e ostentazione provinciale.
Anche le grandi corporations e le ex municipalizzate (a cui evidentemente non mancano i soldi) non mancano di dare il loro opulente contributo con scenografie teatrali e chiassose, che servono a dimostrarne la potenza e il potere e quindi subito smascherano ogni tentativo di green washing.
Questa preoccupazione mi convince a fare un po’ il criticone. Non è bello, ma alla fine mi farò perdonare con qualche consiglio positivo.
Gadget
Zero emission non è certo il caso peggiore, ma è recente e quindi lo uso come esempio.
In una fiera dedicata fin dal titolo all’azzeramento delle emissioni la quantità di plastica distribuita in gadget inutili è stata sicuramente controproducente.
Certo, ci sono più gadget al Motor Show; certo, c’erano delle carinissime matite in carta riciclata, i sacchetti di stoffa e le utili bandierine salvaciclista, ma c’erano soprattutto le solite biro, spillette, cappellini, buste in plastica rigida, morbida, ibrida, pupazzetti, cewingum, accessori, giocattolini, in genere made in China, spesso brutti e malfunzionanti. C’era perfino (giuro!) un’azienda che distribuiva acqua minerale in bottiglia col proprio logo ambientalista.
Tutta plastica inutile (che ha viaggiato dalla Cina e finirà rapidamente in discarica) che in teoria dovrebbe essere omaggio ed attrazione, per creare contatto, simpatia, insomma dovrebbe essere un atto comunicativo simile ad una parola o a un gesto; ma suona come una bestemmia in chiesa: denuncia la povertà analitica e la superficialità etica del progetto comunicativo, e anche l’incapacità di mettersi in sintonia coi tempi.
Se Cappuccetto Rosso usa il linguaggio del Lupo, il cliente (che sarebbe la Nonna) ha motivo di preoccuparsi.
Aggiungete nel conto dello spreco le tonnellate di carta patinata per cartelle e di brossure graficamente sciatte e scritte in corporatese ( La nostra azienda leader nel settore del Piripicchio che accetta la sfida dell’innovazione e coniuga qualità e competitività e bla bla bla …) che nessuno leggerà, neanche la mamma di chi l’ha scritto.
Gnocca
L’arredo vivente, come i nuotatori nella piscina del capo di Fantozzi. Chiedo scusa per la seconda G., parola che tuttavia forse vi ha portato a leggere fino a qui (nel qual caso anch’io la sto usando surrettiziamente), ma io almeno ho una valida scusa: è una citazione; è la esatta definizione “tecnica” adottata dalle agenzie (non solo romane) al cliente quando descrivono il servizio erogato, con lo stesso slogan da 40 anni, “un po’ di g. funziona sempre“.
No, non funziona sempre; è vero solo qualche volta e anche in quel caso è un’aggravante: ad esempio se manca un front office competente o se scarseggiano argomenti più utili ai neuroni che agli ormoni. Oppure quando ci si rivolge a tecnici che si suppongono gretti, rozzi e di scarsa alfabetizzazione, e tutti noi che tali non siamo non gradamo di essere ad essi accomunati.
Le hostess minigonnute fanno il loro lavoro, quindi massimo rispetto, a loro e allo stile imperterrito con cui attraversano gli sguardi di melassa. Però, cosa ci azzeccano? cosa c’entrano con le rivendicazioni amministrative, le scelte esistenziali, la ricerca d base, la lotta politica, il conflitto con le scelte istituzionali carbonifere e nucleari?
Chi le mette in scena, sceglie di strizzare l’occhio all’alienazione sessista del cliente chiedendogli una complicità; un gioco facile, che è in voga anche nelle alte sfere istituzionali: vedete subito che c’è poco che fa rizzare e molto che fa girare.
Si considera il cliente come una macchina banale, prevedibile e manipolabile, che reagisce in modalità automatica riducendo le difese appena vede due belle gambe. Invece di solito lui luma gratis la ragazzina e poi non passa a nessuna condotta d’acquisto, anche perchè di solito le fanciulle sono reclutate all’ultimo momento e sanno poco o niente sul prodotto. Insomma la loro presenza è solo pigrizia nella progettazione comunicativa, una scorciatoia, un luogo comune; sono una “bellezza della natura” quanto il poster plastificato del paesaggio sulle scenografie: una citazione, non un’allusione; le hostess in minigonna vanno messe nella directory del rumore comunicazionale, come il ronzio di un’amplificazione o un faro che va negli occhi.
Gigantismo
I Faraoni dell’antico Egitto non avevano il dono della sobrietà, ma almeno hanno costruito edifici meravigliosi destinati a durare millenni.
I novelli faraoni del truciolare e del polistirolo, edificano troppo spesso cose brutte e presuntuose, destinate a vivere pochi giorni. Chi racconta questioni di ambiente, benessere, clima… un po’ di sobrietà dovrebbe praticarla. Invece di spendere dei capitali per così tanti monumenti al cattivo gusto, potrebbero ad esempio suggerire al cliente di presentarsi con un logo decente o con delle brossure intelleggibili, sarebbe meglio per gli affari e per l’immagine.
Tra l’altro la sobrietà in comunicazione è anche uno stile, non è pauperismo, è un criterio con cui si progettano anche i grattacieli. Solo un incompetente confonde l’essenzialità col pauperismo; inoltre è più nobile allontanarsi dall’ostentazione, si è più vicini al bello.
Contromisure e suggerimenti
Ci vuol poco a fare uno stand carino che mette i clienti a proprio agio. Molti “piccoli” si lamentano che le fiere non gli funzionano, poi vedi il loro stand e capisci che nessun cliente serio prenderebbe seriamente quell’accozzaglia di font e colori.
Se credete che non possa essere sexy un compressore fotovoltaico a energia continua o un riduttore areato di flusso per docce comunitarie, vi sbagliate. Qualsiasi lavoro che comporti un’avventura (scientifica, tecnica, imprenditoriale, civile, industriale, mercantile…) è una bella storia, e la mente umana adora le storie.
Se poi c’è in ballo nientemeno che la salvezza del pianeta, la storia diventa assai importante, almeno per chi viene lì apposta per sentirla.
Nelle fiere presentatevi con uno stand che abbia un’idea molto caratteristica e molta pulizia grafica.
Non riempite troppo gli spazi, non abbiate paura di lasciare aria e vuoto.
Ogni manifesto e cartellone sia rigorosissimamente geometrico pulito e professionale. Quindi evitate il fai da te: saper utilizzare un programma di grafica non significa essere grafici, e chi non se ne rende conto è pericolosissimo perchè significa che non ha il discrimine e sicuramente metterà a repentaglio l’immagine della vostra azienda.
E’ bello offrire qualcosa ai visitatori, ma al posto dei gadget noi vi suggeriamo del cibo semplice e genuino (io di solito porto qualche cassetta di mele bio) che aiuta anche a rifocillarsi un po’, scampando alle file ai bar.
Una forma di arredo elegante che funziona sempre sono le piante; a quelle che noleggiano o vendono nelle fiere è preferibile (per prezzo, qualità estetica e diferenziazione) quelle di un qualsiasi vivaio; dopo la fiera le metterete in giardino o le regalerete.
Non usate troppi colori, di solito il progettista che ha studiato la vostra immagine coordinata deve aver definito, ad esempio, i colori aziendali e le font da usare.
Meglio un abbigliamento informale che la solita giacca e cravatta che ci fa semprare tutti uguali.
Le standine e gli espositori che si srotolano, che qualche anno fa erano una cosa speciale e davano un effetto molto professionale, oggi sono uno strumento diffuso ed economico, ma anche inflazionato ed abusato. Comunque è giusto il principio di avere materiali leggeri e pieghevoli, in modo che tutto lo stand stia in un’auto.
Nello stand di h2o2020 al Watermed avevamo sulla testa secchi per 212 litri, per indicare l’acqua che una famiglia media consuma da rubinetti e docce in un solo giorno e che coi riduttori di flusso si può dimezzare. Con 75 euro di secchi, un po’ di spago e 7 lampadine, tutti si incuriosivano, si fermavano a vedere e a chiedere.
Paolo F.
A proposito del gadget insostenibile distribuito da un espositore a “zeroemission”, ecco la segnalazione da altreconomia riguardante questo modo nuovo di comunicare direi molto poco coerente per chi lavora nel campo delle energie rinnovabili: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2069&fromRaggrDet=5