Dopo che il Salvagente e Menti Fermenti avevano posto vari problemi su quello che è successo a La 220, i nuovi padroni del marchio La220 hanno dato la seguente risposta da cui estrapolo questa affermazione:
L’idea con cui è nata la società era ottima, ma non si è saputo gestirla. È partita, infatti, con un’imponente campagna di comunicazione, dimenticando la sostanza. E lo dimostra il fatto che in 3 anni siano stati “sperperati” milioni di euro in pubblicità, per poi acquisire 2 mila clienti: un fallimento imprenditoriale.
Strano, no? , per una strategia low budget e under the line, che viene studiata nelle università perchè funziona con pochi soldi senza la televisione e i grandi quotidiani, che promette di non far ricadere sui consumatori i costi di pubblicità costose… Infatti ci sono due errorini.
Due zeri che girano
I signori Martini e Saulli fanno un piccolo errore matematico, hanno tolto uno zero al numero di clienti (le decine di migliaia sono diventate 2.000 persone ) e l’hanno spostato nella cifra dei “milioni sperperati in pubblicità” (che invece sono alcune centinaia di migliaia di euro spalmate su cinque anni).
Vale la pena di ricordare che eravamo quattro gatti con due lire, ma che riuscimmo a competere felicemente con clienti che effettivamente spendevano i milioni/anno e anche le decine di milioni/anno… e con quello che ne spende centinaia/anno, il quale tuttavia non li paga di tasca propria, li mette in bolletta agli italiani sbaragliando i piccoli competitori.
Torniamo all’errorino, che cambia il risultato di un fattore 100… è semplicemente una balla (spero che sia l’unica, ma questo grazie al cielo non è più affar mio).
L'”errorino” può essere però giustificato adducendo due “dettaglietti”, che apparentemente giustificano l’affermazione ma a guardar bene l’aggravano parecchio.
Primo dettaglietto: nel lavoro progettato da me e dal mio staff non erano comprese le scelte decise direttamente da Zanardelli senza consultarci, come sponsorizzazioni calcistiche o annunci su testate locali fuori programmazione, che non c’entravano niente col budget pubblicitario e avevano altre motivazioni di politica aziendale che ignoravo allora e che ignoro tuttora. Capisco benissimo che ai due signori intervistati dia molto fastidio aprire il libretto degli assegni per saldare entrambe le due categorie di spesa, ma se sono imprenditori seri sanno vedere la differenza. Se poi la differenza con il nostro mediabudget (economico, oculato e calcolato al millesimo) dovesse davvero essere milionaria, cosa di cui francamente dubito, dovrebbero accorgersene ancora di più, se non altro mentre contano gli zeri sugli assegni ( e quelli li contano giusti, state sicuri).
Dettaglietto numero due; la quantità di cittadini che si sono candidati a passare alla duecentoventi.
Ad oggi dichiarano di aver 2000 contratti di cui solo 700 già in fase di fatturazione. E’ un numero ben distante dal piano che avevo studiato io personalmente che doveva arrivare a 350.000 in quattro anni e che, a maggio 2009 prevedeva di arrivare sul 10% cioè 35.000. Personalmente ho avuto accesso solo a una parte dei dati sensibili, che poi sono stati oscurati anche a me; ovviamente sono tuttora tenuto a tutte le tutele della privacy, ma il numero totale dei “prenotati” non è segreto e io ne ho contati 18.000, ed eravamo circa a metà dell’iniziativa. Ci sono state decine di fiere e iniziative in cui tornavamo con migliaia di richieste compilate; me ne ricordo ad esempio 4.000 raccolte in tre giorni di Caterraduno… dunque capisco che ci possa essere una percentuale di doppioni, ripensamenti o errori, ma alla fine il totale come può fare 2.000? mi viene in mente solo un’ipotesi: quasi tutti sono stati disincentivati o dimenticati.
Download “il caso la 220”
Metto in evidenza il link a questo opuscoletto, i partecipanti a questo blog lo conoscono già ma ci scommetto che adesso c’è qualche nuovo lettore che se lo è perso.
Morale
La mia sensazione (parere personale) è che invece sia stata proprio la filosofia ecologica ed etica impersonata da La 220 a dare fastidio, ad essere incompatibile con quella logica business ” fatturare tanto a tempi brevi” che guarda caso oggi sente una crisi mondiale. E’ tutto collegato: la visione dell’energia, l’etica del commercio e l’etica della pubblicità. Se ho ragione, allora è vero che per loro la pubblicità non è andata bene, perché ha funzionato.
La 220 stava dicendo che un’altra energia era possibile, è proprio la sostanza che dava fastidio, non la forma.
E continua a dare fastidio: bene.
Fabio
anche a me non sembrano “schiette e sincere” le affermazioni dei due Signori GN date su “il salvagente”, probabilmente ci sono molte cose che noi “poveri consumatori” non possiamo e non dobbiamo sapere assolutamente, ma la cosa sicura è una sola: “anche le formiche nel loro piccolo si incazzano”
😉
MrCannonau
Guardate questo
http://mentifermenti.lacantinadellanonna.net/2009/04/02/teorema-sulla-veridicita-delle-affermazioni-di-green-network/
Chiara 77
scusa l’ignoranza, maa che differenza c’è tra under the line e below the line?
marco
Chiara chiede la differenza tra under the line e below the line.
Sono entrambe diverse da quella normale “sopra la linea” dei grandi budget (TV, stampa a grande tiratura, radio nazionali…)
Tipicamente sono sottotraccia flyer, coupons, autoadesivi, mail, piccole sponsorizzazioni sportive o culturali, … quello che paghi poco o nulla e si fa vedere meno.
Si possono chiamare under o below the line; la “linea” è un concetto che viene dalla piega dei vecchi quotidiani, la parte superiore della prima pagina è molto più visibile in edicola e metterci un annuncio costa di più.
Per me c’è un altro elemento, e qui rispondo alla tua domanda; stare sottotraccia significa non solo non pagare inutili budget a un sistema monopolistico, ma anche non farsi notare dai grossi concorrenti che se no facilmente ti copiano e ti sommergono. Fare pubblicità di nascosto, sembra un controsenso, ma per me è andare carsicamente dritti al consumatore attraverso media di nicchia schierati e “politici”, irriverenti e poco considerati dall’AD ortodosso. E’ appunto il lavoro che ho fatto per la 220: quando hanno cominciato a copiarci e a sommergere i nostri media, per loro era già troppo tardi.
Dunque personalmente chiamo below quelle attività che sono, sì, economiche ma tuttavia business oriented ed abituali per le agenzie “normali”; sono sinergiche ai grossi budget, nell senso che li affiancano e li potenziano (attività che a volte coincide col guerrilla marketing, di cui tradisce il mome guerrigliero).
Chiamo under quelle più “cattivelle”, che denunciano e smascherano il potere economico, che si posizionano prendendo posizione.
E’ più difficile fare green washing se polemizzi denunci e contesti i poteri forti: da millenni re e imperatori possono farsi la guerra tra loro ma mai rompono quell’omertà che regge ideologicamente ed economicamente il potere della loro casta.
Questa è una differenza importante, anche se il confine resta labile; ad es. penso al marketing cosmetico delle multinazionali che si alimenta spesso di temi buonisti (la fame in Africa, la donna in Afganistan…) su cui, almeno superficialmente, è difficile non essere tutti d’accordo.
Claudio
sarebbe carino censirsi…
io “purtroppo” ho partecipato con entusiasmo, divenendo cliente e oggi sono ancora con Green network, non avendo poi avuto voglia di rimettermi a cercare un altro fornitore, ma lo farò, a costo di tornare con l’A2A.
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